Divorzio breve, cos’è e come impatta sul lavoro?

In Italia, per porre legalmente fine a un matrimonio, c’è una procedura ben precisa che inizia con la separazione e si conclude con il divorzio. Se fino a pochi anni fa, tra la separazione e l’inizio del procedimento per il divorzio doveva trascorrere per legge un periodo di tempo di 7 anni, oggi le cose sono notevolmente cambiate.

Grazie alla legge n. 55 del 6 maggio 2015 (conosciuta anche come nuova legge sul divorzio breve) è stato possibile abrogare le vecchie normative e accorciare i tempi per la richiesta del divorzio. Vediamo nel dettaglio in cosa consiste il divorzio breve.

Divorzio breve: definizione e funzionamento

Il divorzio breve è una modalità prevista per il divorzio consensuale, ovvero che si conclude con l’accordo tra le due parti. Non si tratta di un vero e proprio procedimento alternativo al divorzio, ma si parla di divorzio breve riferendosi alla riduzione dei termini necessari per divorziarsi a seguito della separazione, a seguito della legge del 2015.

Il divorzio breve può prevedere due diverse procedure:

  • la procedura tradizionale, che prevede di presentare l’accordo al giudice perché questi lo ratifichi;
  • la “negoziazione assistita”, che non comporta l’intervento del giudice.

Come si svolge il divorzio breve?

Come anticipato, il divorzio breve può avvenire in due diversi modi: a mezzo di negoziazione assistita o mediante il deposito di un ricorso al tribunale. Optare per la negoziazione assistita significa scegliere un iter snello dalla durata minore, tanto che è possibile arrivare al divorzio anche in poco più di un mese.

Se il divorzio è avanzato soltanto da un coniuge, la procedure si svolge presso il tribunale ex articolo 4 della legge 898/1970 e si sviluppa nelle due fasi: quella innanzi al presidente del tribunale, in cui avviene il tentativo di conciliazione dei coniugi, e quella davanti al giudice istruttore.

In caso di divorzio congiunto, i due coniugi possono presentare la domanda in tre modi diversi:

  • con la procedura ordinaria ex articolo 4 della legge sul divorzio nelle forme previste per il divorzio congiunto;
  • mediante la procedura di negoziazione assistita ex articolo 6 del decreto legge 132/2014;
  • avanti all’ufficiale di stato civile ex articolo 12 del decreto legge 132/2014 soltanto se la coppia non ha figli minori, maggiorenni incapaci o non economicamente autosufficienti o portatori di handicap grave.

Quali sono le tempistiche del divorzio breve?

I tempi del divorzio breve sono diversi in caso di separazione giudiziale o consensuale.

Il numero 2), lettera b) del primo comma dell’articolo 3 della legge 898 del 1970 oggi prevede che, in caso di separazione consensuale, i coniugi possano addivenire al divorzio decorsi “sei mesi nel caso di separazione consensuale anche quando il giudizio contenzioso si sia trasformato in consensuale, ovvero dalla data certificata nell’accordo di separazione raggiunto a seguito di convenzione di negoziazione assistita da un avvocato ovvero dalla data dell’atto contenente l’accordo di separazione concluso innanzi all’ufficiale  dello stato civile”.

Sono invece leggermente più lunghe le tempistiche previste in caso di separazione giudiziale. La legge stabilisce che “le separazioni devono essersi protratte ininterrottamente da almeno dodici mesi dall’avvenuta comparizione dei coniugi innanzi al presidente del tribunale”.

Anche in questo caso la presenza o meno di figli non incide in alcun modo sulla durata del procedimento di divorzio breve.

Assegno di mantenimento e disoccupazione

L’assegno di mantenimento è un provvedimento economico che viene stabilito dal giudice, in sede di separazione tra i coniugi. Consiste nel versamento di una somma in denaro, che potrebbe passare sotto revisione nel corso del tempo, sia nei confronti del coniuge in difficoltà economiche oppure agli eventuali figli nati dal matrimonio. In caso di divorzio breve, sarà dunque il giudice a stabilire la somma in denaro da versare e le relative condizioni.

Tali condizioni in determinati casi possono mettere in difficoltà entrambi i genitori e possono pesare sul reddito percepito dal proprio lavoro, ma nonostante ciò, l’art. 337 ter c.c., al quarto comma, stabilisce che ciascuno dei genitori debba provvedere al mantenimento dei propri figli in misura proporzionale al proprio reddito. Andranno considerati dunque i seguenti fattori:

  1. l’età e le attuali esigenze del figlio;
  2. il tenore di vita goduto in costanza di convivenza con entrambi i genitori;
  3. i tempi di permanenza presso ciascun genitore;
  4. le risorse economiche di entrambi i genitori;
  5. la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore.

Secondo la Corte di cassazione, il semplice fatto di aver perso il lavoro dopo che sia stata già emessa la sentenza di separazione o divorzio ed aver stabilito le modalità di mantenimento, non è un presupposto automatico per chiedere gli alimenti. Per poter ottenere il mantenimento, difatti, l’ex dovrebbe dimostrare che le sue capacità professionali sono per sempre compromesse e persiste l’impossibilità di offrire un supporto economico.